Como si balocca

La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (20 novembre 1989) è lo strumento internazionale che l’Onu ha immaginato per costruire un mondo in cui ogni bambino, ogni bambina, abbiano le medesime opportunità di diventare protagonisti del proprio futuro. La Convenzione in 54 articoli fissa sulla carta i principi generali che dovrebbero orientare i governi nelle politiche per l’infanzia: non discriminazione (art. 2), superiore interesse del minore (art. 3), diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6), partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12).

È giusto celebrarne l’anniversario, come da anni fa il Comune di Como con l’iniziativa #dazeroadiciotto. Quest’anno, dal 18 al 25 novembre – quando la manifestazione si concluderà con l’avvio di Como città dei balocchi – in città si susseguono mostre, incontri, seminari, laboratori, eventi sportivi, per bambini e ragazzi e per gli adulti che ogni giorno si occupano di infanzia e adolescenza.

La meritoria iniziativa stride, però, con la reale condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in questa città, dove i principi fissati sulla carta non sono ancora diventati diritti di tutte e tutti.

«Dove cominciano i diritti umani? In posti piccoli, vicino a casa: il quartiere in cui si vive, la scuola che si frequenta, la fabbrica, il campo o l’ufficio in cui si lavora», ha detto Eleanor Roosvelt il 10 dicembre del 1948 alla proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani.

E proprio vicino casa vogliamo guardare, perché la questione ci riguarda.

Da settembre 2016 a Como ci sono minori stranieri non accompagnati, ospiti nel Campo di via Regina Teodolinda. Per loro non sono stati attivati corsi di lingua, di istruzione, di formazione, né adeguati strumenti di sostegno psicologico. Il presente e il futuro di questi ragazzi dovrebbe interrogarci tutti, soprattutto chi ha il compito di amministrare, che sembra più interessato a rimuovere panchine, tagliare alberi e asfaltare piazze.

Meno di un mese fa a Como, per mano di un padre disperato, sono morti quattro bambini, il più grande aveva poco più di 11 anni, la più piccola poco più di 3. Facevano parte di una delle famiglie di origine straniera con bambini in condizioni di povertà assoluta. Sono 4 su 10 in Italia le famiglie immigrate che vivono in povertà assoluta. Il numero si è andato ingrossando sia al Sud, in particolare tra le famiglie monoreddito e numerose, sia al Centro-Nord, in particolare tra i nuclei di recente immigrazione, e riguarda ormai circa 650.000 famiglie con bambini. E la fascia di disagio si è estesa anche a famiglie di “ceto medio”, fino a pochi anni fa lontane dalla soglia di povertà. L’ISTAT ha calcolato che nel 2016 vivevano in povertà relativa 2.300.000 bambini e ragazzi e 1.200.000 famiglie. Fermiamoci un attimo a riflettere su che paese stiamo costruendo.

Questi dati impietosi li leggiamo, li ascoltiamo ma restano numeri. Diventano insopportabili solo quando si incarnano, quando bambini e bambine hanno corpi e nomi: Siff, Sophia, Soraya e Saphiria. Faycal e i suoi figli morti a Como in via per San Fermo sono vittime della nostra società incattivita, che preferisce chiudersi e mantenere privilegi per pochi piuttosto che includere e accettare di attraversare le contraddizioni del presente. Anche se noi ci crediamo assolti siamo comunque coinvolti. Che dolore. [Celeste Grossi]

 

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